
Perché è necessario il Messia?
Prima parte
Sappiamo che il mondo in cui stiamo vivendo oggi non è proprio il Regno di Dio. Abbiamo imparato che la storia umana è iniziata con il piede sbagliato, dal lato del male; questo è il motivo per cui la Bibbia dice che il dio di questo mondo è Satana. A causa della caduta dell’uomo Satana è dentro di noi al posto di Dio cosicché siamo la sua incarnazione: discendiamo dal suo lignaggio invece che dal lignaggio divino. Questo è contro la legge della creazione di Dio ed è il motivo per cui ci sono stati così tanti martiri nella storia umana e nel mondo religioso. Nelle religioni primitive a volte si offrivano dei sacrifici umani; questo rappresentava, anche se in modo distorto, l’impulso a versare sangue satanico. Di fronte a Dio noi non siamo persone frutto della Sua creazione ma esseri in posizione di Suoi nemici in quanto figli di Satana, il nemico di Dio. Questo è stato il risultato della caduta umana e questo è il motivo per cui Gesù disse:
“Voi che avete per padre il diavolo” (Gv 8:44).
Contro il desiderio di Dio, i no stri antenati stabilirono fra loro una relazione d’amore impura e prema tura. Per poterci restaurare perfetta mente da questa linea di sangue impura dobbiamo trovare dei Veri Genitori e inserirci nel loro lignaggio at traverso un processo di rinascita.
Nella Bibbia leggiamo che quando Nicodemo fece visita a Gesù e lo sentì parlare di rinascita, gli chiese: “Come potremo ritornare nel grembo di nostra madre?” e Gesù rispose: “Tu sei maestro in Israele e non sai cosa significa rinascita? Se uno non rinasce non può entrare nel Regno di Dio”.
La resurrezione significa nascere di nuovo e diventare parte di un nuovo lignaggio. Essendo noi uomini e donne caduti e nati da un lignaggio satanico, siamo desti nati a rinascere: solo allora potremo entrare nel Regno di Dio. Il corso del la restaurazione è il processo inverso del corso della caduta. Ciò significa che dobbiamo restaurare il lignaggio divino originale. Per cambiare il nostro lignaggio satanico in quello divino, dobbiamo condurre una vita ascetica, una vita che presenta difficoltà e sacrifici, ma se desideriamo essere restaurati è necessario attraversare questo percorso.
Nel processo della caduta Adamo ed Eva credettero che Satana fosse di più di Dio stesso. Questo è stato il primo passo sbagliato. Perciò nel corso della restaurazione dobbiamo assolutamente credere in Dio in modo totale. Il risultato finale del la caduta è stato il nostro lignaggio satanico; il nostro sangue è stato contaminato, e Gesù ha dovuto offri re il suo sangue per poter porre la condizione attraverso la quale noi negassimo questo lignaggio. Abbiamo dovuto ricevere il suo sangue per appartenere al suo lignaggio. Nella santa comunione il vino simboleggia la linea di sangue divina e condivide re il vino e il pane significa che noi possiamo innestarci al lignaggio di Dio.
L’umanità caduta ha portato sulle sue spalle il peso di un debito di sangue, sudore e lacrime. Se chiedeste a Dio di raccontarvi alcune esperienze dal momento della caduta in poi, non potrebbe narrarvi altro che una storia di lacrime, sudore e sangue poiché Lui non ha altra storia all’infuori di questa. La maggior parte dei cristiani non conosce veramente com’è Dio; loro Lo immaginano seduto su di un trono glorioso che si gode la vita, ma questa non è affatto la Sua realtà. Qualcuno deve liberare Dio dalla Sua pena perché Lui non può farlo da solo. La sofferenza di un genitore può essere alleviata solo dai figli, quella di un marito, dalla moglie, e la pena di una moglie dal marito. L’unico modo di liberare Dio dalla Sua sofferenza è quello di diventare persone di pietà filiale che prendono su di sé il Suo tremendo dolore.
Dio voleva perdonare Adamo ed Eva, ma non era nella posizione di farlo perché loro non si trovavano nella situazione di poter essere perdonati. Dobbiamo immaginare questo: supponiamo che ci fosse stata un’altra persona non caduta, un fratello di Adamo che, incontaminato dal peccato, fosse andato dal Padre a pregarlo di perdonare suo fratello e sua sorella; che cosa sarebbe successo? Se una tale persona pura fosse andata da Dio dicendogli che l’avrebbe aiutato prendendo su di sé qualsiasi responsabilità, che avrebbe volentieri accettato di essere punito lui a causa del peccato dei suoi fratelli, Dio li avrebbe certamente perdonati.
Perché è necessario il messia
Questo avrebbe dovuto essere il modo per arrivare al perdono o alla salvezza di tutti gli uomini caduti. Una persona che non è caduta non ha niente a che fare con Satana. Se Dio trova questo tipo di persona può far procedere la Sua provvidenza di salvezza centrata su di lei. Questo tipo di uomo è “Abele” o colui che si trova nella posizione di “Abele”. Abele dovrebbe essere la persona qualificata per ricevere il perfetto amore di Dio; dovrebbe essere capace di vincere su Satana, di sacrificare se stessa per il bene dell’umanità. In altre parole dovrebbe essere uno che si sacrifica volontariamente al posto dei fratelli caduti per liberarli dal peccato. Questo fratello sacrificale diventerà il Cristo. E qual è la missione del Cristo, il Messia? Cristo è colui che prende il nostro peccato e il nostro indennizzo e paga per noi. Per questo è il nostro salvatore. I fratelli nel peccato potranno essere liberati solo a quella condizione.
Con l’avvento di quella persona in mezzo all’umanità potrà sorgere la speranza della salvezza. I cancelli della salvezza saranno aperti da quelle lacrime versate per alleviare il dolore di Dio e dell’uomo. Allora, perché abbiamo bisogno del Messia? Qual è il suo scopo? E’ quello di ricollegarci all’amore di Dio. Noi vogliamo ritornare indietro al punto in cui eravamo connessi a questo amo re, ma abbiamo ereditato il lignaggio satanico e la linea di sangue degli uomini caduti è separata dall’amore di Dio. Questo deve essere indennizzato. Indennizzo significa in pratica che il peccato originale deve essere rimosso. Il problema fondamentale è come rimuovere questo peccato.
Gli uomini caduti, da soli non posso no farlo, perciò è necessario il Messia. Tuttavia affinché il Messia venisse era necessario che l’umanità stabilisse una certa fondazione condizionale accettabile agli occhi di Dio. Per arrivare a questa meta la strategia di Dio fu quella di tirar fuori da questo mondo di male i Suoi campioni. Per comprendere il modo di lavorare di Dio esaminiamo la storia della Sua provvidenza.
La famiglia di Adamo fu la prima fa miglia nella creazione di Dio. In essa c’era un uomo, Abele, che Dio aveva scelto come Suo primo campione. Abele serviva Dio con tutto il suo cuore e fu il primo a dare la sua vita per lo scopo divino. Abele doveva rifiutare Satana e ritornare a Dio lottando e sconfiggendo il male; dove va separarsi da Satana ed essere di verso da suo fratello caduto. Essendo in quella posizione poteva riceve re l’amore di Dio. La formula fonda mentale per essere Abele è racchiusa in questi tre stadi: colui che è desideroso di salvare il mondo deve lottare contro Satana e vincerlo, poi deve penetrare nell’amore di Dio ed infine, sentendo il cuore di Dio e del l’umanità caduta, deve volontaria mente sacrificare se stesso al posto degli uomini caduti. Solo a questa condizione l’umanità caduta può essere riportata a Dio. Perciò Abele avrebbe dovuto separarsi da Satana, o Caino, penetrare nel profondo del l’amore di Dio e, sperimentando il dolore di Dio e la sofferenza di suo fratello, avrebbe dovuto sacrificarsi volontariamente per loro. Invece di essere arrogante, Abele avrebbe dovuto essere desideroso di morire per Caino, avrebbe dovuto salvare suo fratello a rischio della sua vita, pagando con la sua stessa vita. Il suo sacrificio non avrebbe dovuto essere la sua uccisione: egli doveva essere un sacrificio vivente cosicché Dio potesse lavorare attraverso di lui. Doveva sacrificarsi senza essere sacrificato da Satana: il suo sacrificio sul l’altare era offerto a Dio. Ma nel fare questo egli fu ucciso da Caino.
NOÈ
In seguito Dio chiamò Noè e ne fece il Suo campione. E Noè adempì ad una missione molto insolita: costruire una nave sulla cima di una montagna. Ora, secondo il buon senso, una tale costruzione dovrebbe essere fatta in un cantiere vicino all’acqua. Ma le istruzioni che Noè aveva ricevuto erano di costruire l’arca in cima ad una montagna e non sulla riva del mare o di qualche fiume. Quanti di noi saprebbero accettare una simile missione? Quanti di noi potrebbero obbedire ad un simile ordine e si impegnerebbero nel lavoro senza alcun’ombra di dubbio? Al tempo di Noè nessuno poteva credere che egli avesse ricevuto un ordine da Dio, né accettare quello che Noè diceva sul l’imminente giudizio del diluvio.
Potete immaginare come appariva Noè agli occhi delle persone del suo tempo? Per 120 anni salì e scese la montagna continuamente, lavorando per la costruzione della sua arca. Alcune delle signore qui presenti avrebbero forse desiderato essere nella posizione della moglie di Noè? Non penso che sareste state mogli felici. La moglie di Noè deve avergli portato ogni giorno una ben misera razione di cibo: lui era così occupato con l’arca che non aveva il tempo di occuparsi della sua famiglia. Nel giro di pochi mesi devono essere iniziate delle liti in famiglia, ma non fu solo per 12 mesi o 12 anni che la moglie di Noè dovette sostenere questa difficile situazione, bensì per 120 anni.
Perché allora Dio chiese a Noè di adempiere ad una missione così in comprensibile? Perché Dio doveva lavorare in quel modo? C’era una ragione: doveva agire così a causa del male. Dio non può convivere col ma le. La direzione di Dio è di 180° contraria a quella del male. Dio aborrisce il male e non può accettare le cose che il mondo di male accetta, non vuole avere niente a che fare con il mondo di peccato o con qualunque cosa che sia inquinata dal male. Tutti noi siamo stati creati ad immagine di Dio e possiamo riconoscere nella nostra natura umana dei tratti simili a Lui.
Supponete di avere un nemico verso il quale nutrite dei forti sentimenti di odio; voi non desiderate neppure guardarlo. Allo stesso modo Dio non vorrà aver niente a che fare con il malvagio mondo di Satana. Perciò, dovendo trattare con esso, sceglie dei modi spesso incomprensibili agli uomini. Dio vuole anche mettere alla prova la loro fede e non può farlo chiedendo semplicemente delle cose ordinarie. Dobbiamo essere disposti a conformarci alle straordinarie istruzioni di Dio. Dobbiamo mo strare a Dio una fede assoluta. Questo non è un compito facile. Le persone pensavano che Noè fosse pazzo costruendo l’arca in quel modo e nessuno sapeva che invece egli occupava la posizione centrale nella visione di Dio.
Abramo e Giacobbe
Non solo Noè, ma anche altre persone di Dio sembrano agire in modo strano secondo il punto di vista del mondo. Consideriamo Abramo. Dio lo prescelse dalla casa di un costruttore di idoli e non da una famiglia ti morata di Dio. Gli ordinò di separarsi dall’ambiente contaminato dal male in cui viveva e di lasciare la sua terra natia. Dio voleva fare di Abramo il Suo campione, e questo era il Suo or dine. Se Abramo avesse allora di scusso la questione con suo padre, il fabbricante di idoli, questi gli avrebbe indubbiamente detto: Ma sei pazzo?”. Abramo pensò che era meglio non parlare con suo padre delle istruzioni ricevute da Dio. Chi avrebbe potuto credergli? La sua missione non era semplice perché Dio gli ave va chiesto di andare verso la terra straniera d’Egitto. La decisione di Abramo perciò era da prendere in assoluta solitudine sulla base della sua fede e della sua fiducia in Dio. Solo per fede egli decise di partire non avendo in mente che il pensiero di seguire l’ordine datogli da Dio. Fuggì di nascosto, di notte, e si trovò a vagare come uno zingaro rinunciando a tutto ciò che aveva.
I campioni di Dio hanno una caratteristica in comune: iniziano le loro missioni negando se stessi e il proprio ambiente. Il figlio di Isacco, Giacobbe, non fece eccezione. Era un uomo che aveva una grande forza di volontà e in virtù di questa servì Dio come nessuno aveva mai fatto prima. Volle aprire una strada esemplare, realizzando qualcosa che nessun altro poté mai ripetere. Nella Bibbia si narrano parecchie cose su Giacobbe. Si descrive la sottile astuzia con la quale comprò il diritto di primogenitura dal fratello maggiore, scambiandola con un piatto di pane e lenticchie. Più tardi rubò la benedizione del padre che doveva essere data a suo fratello Esaù. Agendo così Giacobbe sapeva indubbiamente che suo fratello gli sarebbe diventato nemico, ma nondimeno si impegnò a fare questo. Nel suo cuore il desiderio di ricevere la benedizione di Dio era così ardente, così forte, che Dio ne era veramente confortato.
Dopo aver ottenuta la benedizione di Isacco, Giacobbe sfuggì al peri colo di essere ucciso da suo fratello maggiore, scappando dalla sua terra nel territorio straniero di Harar. Per 21 anni sopportò una vita di tribolazioni in Haran e durante quel periodo fu ripetutamente ingannato da suo zio Labano. Dieci volte Labano imbrogliò Giacobbe che non si lamentò mai. Lui perseverava e aspettava il giorno in cui avrebbe potuto ritornare alla sua terra benedetta.
Allora, in che modo Giacobbe stabili una tradizione di fede che gli permise di ricevere la benedizione e la protezione di Dio? Potrebbe sembrare semplice, ma non erano sufficienti Giacobbe ed una offerta solamente: c’era bisogno di qualcos’altro. L’offerta non era per un beneficio personale: Giacobbe doveva farla per gli israeliti e la loro nazione, che era stata scelta da Dio. In altre parole il sacrificio è qualcosa che viene offerto per uno scopo più elevato, di natura pubblica, per uno scopo familiare, nazionale e che colleghi ogni cosa a Dio. Avere o non avere questa forte convinzione interiore determina il ricevere o di non ricevere la benedizione di Dio e la Sua cooperazione. Giacobbe, più opposizione e persecuzione riceveva da Labano, più pensava alla sua terra in cui sapeva di dover riportare tutto quello che avrebbe ottenuto da Labano. Non voleva semplicemente godersi la vita in Haran con le benedizioni che Dio gli aveva concesso, ma desidera va condividerle con suo fratello e i genitori, nella sua terra. Questo desiderio di condividere la benedizione di Dio con la sua famiglia fu l’origine del suo amore per la propria gente e per la propria nazione.
Condividendo le benedizioni voleva armonizzarsi e unirsi con loro. Giacobbe condusse una solitaria vita di pastore, ma per tutto quel tempo il suo scopo ultimo non fu di guadagnare denaro o benedizioni materia li. Sentiva tanto la mancanza della sua terra natia e si dispiaceva per quello che aveva fatto a suo fratello maggiore. Era comprensibile che Esaù volesse ucciderlo poiché gli aveva strappato la primogenitura ingannandolo ed egli capiva il sentimento di suo fratello.
In Giacobbe la cosa accettabile a Dio come offerta era il fatto che più la sua situazione diventava difficile e solitaria, a causa delle persecuzioni sempre più pesanti di Labano, più sentiva un attaccamento profondo per i suoi genitori e familiari. Pensa va costantemente a cosa avrebbe potuto fare per loro e questa era la sua preoccupazione principale. Pensava che avrebbe potuto condivide re prontamente con chiunque a casa ciò che aveva conquistato in 21 anni di duro lavoro. Se si fosse centrato, anche solo un pò, su se stesso, pensando che tutte le cose conquistate appartenevano solo a lui, Giacobbe avrebbe fallito il suo corso. Questa fu la condizione che permise a Dio di dare tante benedizioni a Giacobbe, che non fossero per un benessere e una prosperità personali, ma per permettergli di stabilire la fondazione nella quale tutti gli israeliti potessero goderne. In altre parole per essere vittorioso, Giacobbe doveva pensare in termini di beneficio pubblico. Quando ebbe completato con successo i suoi 21 anni di corso, Dio lo benedì con ricchezze materiali e con tutte le altre cose necessarie per la sua missione.
Durante il suo ritorno a casa, Dio mandò un angelo sul suo cammino, a fronteggiarlo al guado di Jabbok. Soffermiamoci un attimo su questo punto: un angelo gli apparve improvvisamente e lo attaccò come se fosse un nemico. Dio incalzava vera mente Giacobbe mettendo alla prova la forza della sua fede. Giacobbe doveva lottare con l’angelo e così fece.
Continuò la lotta per tutta la notte e non cedette un momento. Facendo questo, Dio comprese che Giacobbe era determinato a combattere fino alla fine, addirittura fino alla morte. Qual era la motivazione e il significato della lotta? Se Giacobbe fosse stato sconfitto dall’angelo, tutte le sue ricchezze, i suoi figli, le sue mogli e lui stesso, che avrebbero dovuto essere totalmente uniti fra loro, sarebbero stati fatti a pezzi dalle forze del male. Se invece avesse vinto, tutte quelle cose sarebbero appartenute a lui e a Dio. L’angelo e Giacobbe lottarono per tutta la notte fino a che entrambi non furono esausti, ma non era ancora finita.
Come pensate che si svolse questa lotta? Era una lotta impari. C’erano fasi alterne: in alcuni momenti Giacobbe stava qua si per essere sconfitto. Pensate che fu Giacobbe o l’angelo a cadere più volte? E’ comprensibile che fu Giacobbe a cadere più spesso, ma non cedette neanche di fronte alla morte. Lottò disperatamente per vincere l’angelo. Deve averlo attaccato ripetutamente a rischio della vita, e questo deve averlo inferocito. È esattamente ciò che accade sul cammino della nostra vita di fede. Lottiamo disperatamente per vincere Sa tana, ma Satana è così feroce che continuiamo a cadere. Ma per quante volte possiamo arrivare sull’orlo della sconfitta, lo attacchiamo ancora e ancora.
L’angelo sapeva che doveva lasciare Giacobbe allo spuntar del giorno. Perciò, proprio prima dell’alba di venne disperato e gli spezzò l’anca. Come pensate che poté fare questo? Deve averlo fatto in un momento in cui Giacobbe era debole. Se, in quel momento Giacobbe non fosse stato sul punto di perdere, l’angelo non ci sarebbe riuscito. Ma Giacobbe non poteva cedere: anche con l’anca spezzata non poteva crollare. Al pensiero della sconfitta divenne ancora più furioso e contrattaccò ripetutamente il nemico. Sarebbe morto piuttosto che cedere e perdere la battaglia. E alla fine vinse la prova. L’angelo di Dio si arrese e gli disse: “Non ti chiamerai più Giacobbe, ma Israele, perché hai combattuto con Dio e con gli uomini e hai vinto!” (Gn. 32:28).
Ora, Giacobbe era sulla strada di casa in cui avrebbe incontrato suo fratello Esaù. Avrebbe potuto andare da qualche altra parte a godersi la sua ricchezza se non avesse pensato alla volontà di Dio. Avrebbe potuto dire: “Esaù è Esaù e io sono io; cosa ho a che fare io con la sua vita?”. Ma la sua mente era così preoccupata per la volontà di Dio che il suo desiderio era proprio di incontrare suo fratello, riconciliare il passato e con solare il suo cuore fino a che ogni risentimento fosse svanito.
Cosa doveva fare incontrando suo fratello maggiore Esaù? Innanzitutto fu pronto a cedergli tutti i suoi averi, i suoi servi e i suoi figli dicendogli che tutto ciò sarebbe appartenuto a lui. La sua attitudine fu: “Tutto ciò che possiedo è tuo eccetto la volontà e la benedizione di Dio che mi appartengono per l’eternità”. Adamo, che ignorava la volontà di Dio e si centrò su se stesso preoccupandosi solo di sé, perse i suoi figli e tutte le cose che Dio gli aveva dato in benedizione. Al contrario Giacobbe fu così centrato in Dio da dar via tutte le sue cose per la Sua volontà. Questo è ciò che rese Giacobbe di verso da Esaù. Perciò, a livello familiare Giacobbe poté lottare con Esaù e rischiare tutto ciò che possedeva. Egli pensava: “Esaù, tu non puoi avere tutti questi beni se non mi su peri nell’esaltazione della volontà di Dio”. Questa fu l’attitudine con cui sfidò ed ebbe a che fare con Esaù: “Se accetti questi miei beni, significa che sei unito a me nel realizzare la volontà di Dio”
Dopo aver ricevuto i doni di Giacobbe, il cuore di Esaù si addolcì. Così, i due fratelli che avevano fino allora nutrito risentimento e ostilità l’uno verso l’altro, si abbracciarono versando lacrime e benedicendosi l’un l’altro. In quel momento si apri una nuova era storica, ad un livello più elevato, un’era in cui anche Esaù poté condividere la benedizione di essere Israele, il vittorioso. Il corso di Giacobbe potrebbe sembrare semplice, ma c’è un significato storico in esso poiché tutte le condizioni che dovevano essere realizzate per la provvidenza di Dio si condensarono nel suo corso.
Più tardi Dio scelse Mosè come Suo campione.
Immaginate quanto fu fortunato Mosè a crescere nel palazzo del Faraone, in cui poteva godere una vita piena di agi. Ma un giorno, quando era ancora giovane, egli improvvisamente emerse come campione del suo popolo, non sopportò più l’oppressione della sua gente da parte degli egiziani. In quel momento egli seppe che Dio era con lui. Ri fiutò il suo ambiente, rinnegò se stesso e andò nel deserto di Midian. Aspettò la sua missione definitiva per 40 anni, perseverando e preparandosi a diventare sempre più degno della benedizione di Dio. La vita di Mosè fu molto umile e mite. Ogni giorno rinnovava la sua attitudine di sottomissione allo scopo di Dio chiedendogli la Sua divina guida, aspettando ardentemente il momento in cui avrebbe realizzato la sua missione di condurre il suo popolo fuori dal l’Egitto.
Sun Myung Moon
Seconda parte: Dedicare la propria vita a Dio
Perché è necessario il messia
RispondiElimina... In altre parole dovrebbe essere uno che si sacrifica volontariamente al posto dei fratelli caduti per liberarli dal peccato. Questo fratello sacrificale diventerà il Cristo. E qual è la missione del Cristo, il Messia? Cristo è colui che prende il nostro peccato e il nostro indennizzo e paga per noi. Per questo è il nostro salvatore. I fratelli nel peccato potranno essere liberati solo a quella condizione.
Abbiamo imparato che la storia umana è iniziata con il piede sbagliato, dal lato del male; questo è il moti vo per cui la Bibbia dice che il dio di questo mondo è Satana.
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